Tira vento a Vicenza sotto i portici umidi di ombrelli.
E gocciano frammenti scuri che non si possono posizionare. Restano fuori posto come soprammobili stonati anche se hanno qualcosa di familiare perché annodati ai fianchi da sempre.
Il tramonto nero della ragione martella e chiudere il cervello fuori, a doppia mandata, non serve a molto. Così penso mentre una sigaretta si spegne con un crepitio dentro una pozzanghera sul marciapiede.
E’ in certe sere, quando l’angoscia si annida sotto la lingua e tra le vene, che avrei bisogno di una terrazza su un golfo, di luci notturne che si riflettono sull’acqua, della sensazione sui piedi quando l’onda si ritira.
Di confessioni notturne senza fiatare. Respirare soltanto. Scaldarti-mi.

(…) Serbali tu com’erano, memoria.
E più che puoi, memoria, di quell’amore mio
recami ancora, più che puoi, stasera.
C. Kavafis